Il ventesimo secolo si è aperto con un po’ più di 1,5 miliardi di persone ed il 2017 si è concluso con oltre 7,5 miliardi. Infatti durante il ‘900 la popolazione globale è aumentata incredibilmente come conseguenza del progresso tecnologico apportato dalla Rivoluzione Industriale.
La prima risposta alla domanda di cibo da parte di un globo affamato è stato il lancio della Rivoluzione Verde attorno agli anni ’60 del ventesimo secolo, in cui la conoscenza della chimica e della biologia hanno sottomesso terre vergini alla volontà della scienza e degli essere umani: monocoltura, selezione dei semi, utilizzo dei fertilizzanti e pesticidi. Conciliando al tempo stesso l’esigenza della potentissima lobby dell’industria chimica, che, venendo a mancare gli appalti garantiti nel periodo bellico, intravide l’interesse economico di sfruttare l’azoto in particolare, insieme al fosforo e al potassio come elementi chiave, come base per i fertilizzanti nel campo agricolo.
Se da un lato tale conversione ha contribuito alla riduzione del problema della fame, dall’altro ha sfruttato in maniera massiva le risorse naturali, compromettendo ancora di più il destino delle generazioni future.
Dunque, i cambiamenti sociali che sono avvenuti insieme con le innovazioni agricole sono dovuti anche alle invenzioni tecnologiche che si sono via via susseguite: la ferrovia e le navi a vapore a metà del diciannovesimo secolo, la latta e l’industria conserviera, gli elettrodomestici e la refrigerazione tra il 1950-1960, la televisione e la pubblicità negli anni ’50, seguiti dal confezionamento, l’automobile e i fast-food. Generando una crisi a livello di radici profonde, che riguarda l’uomo ed i suoi bisogni in relazione con le risorse naturali del pianeta, in particolare: suolo, acqua, biodiversità ed energia.
Il metodo di agricoltura “biologico” nasce appunto come movimento di ribellione attorno agli anni ‘60 del secolo scorso, partendo dalla California con la voce di “People’s Park”, un gruppo che decide di occupare un appezzamento di terra incolta di proprietà dell’università di Berkeley con l’intenzione di formare un orto, coltivando alimenti non contaminati da pesticidi.
Il biologico si unisce però ad un concetto più amplio: l’Ecologia. Quest’ultima viene introdotta da Albert Howard, nel 1940 nel suo “I diritti della terra”, come risultato dei suoi studi in India che gli diedero le basi di tale filosofia: la semplice connessione tra la fertilità del suolo e le condizioni salutari degli esseri umani.
Da quando la chimica ha preso il sopravvento sulla biologia, la natura ha cominciato ad essere trattata come una macchina. Al contrario, l’agricoltura biologica abbraccia una concezione olistica, non un’azione isolata.
Il sacrificio di non utilizzare componenti chimici non è solamente l’obiettivo di una singola azienda agricola, ma la misura universale del buon funzionamento del sistema agricolo in sé. O almeno dovrebbe esserlo….
Dal 1991 il cibo biologico ha ottenuto la propria certificazione a livello europeo con apposito regolamento, a garanzia della trasparenza per i consumatori. Purtroppo nel tempo le logiche di profitto hanno parzialmente trasformato il settore del biologico in un’opportunità di speculazione, così oggi ci troviamo di fronte ad una produzione biologica su piccola-media scala ed invece un biologico “industriale” (anche se la parola stessa suona come un ossimoro), dove purtroppo vigono ancora una volta standardizzazione, economie di scala, tecnologia, efficienza a tutti i costi, monocoltura.
Al contrario, il metodo biologico nella sua autenticità prevede un insieme di strategie peculiari. Prima tra tutte la biodiversità: da diversificazione attraverso l’uso di specie locali e varietà antiche, rotazione delle culture (tempo/spazio), gestione attraverso il nutrimento, consociazione (crescere una coltura tra piante di tipo diverso) e concimazione verde. Infatti fondamentale è la protezione del suolo con una copertura naturale così come le sinergie tra raccolto ed bestiame. Inoltre l’agroforestazione e le infrastrutture ecologiche hanno un ruolo determinante nella geografia della fattoria stessa: gli alberi bloccano il vento irruento e trattengono una buona dose di umidità, il che significa davvero tanto per le piante. Anche il bio-controllo è importante: più uccelli, meno pesti e malattie. Infine nulla viene sprecato, i residui vegetali ed animali vengono trasformati in compost che diventerà poi humus per il terreno. Sono tutte soluzioni doppiamente vincenti.
Quando si parla di biologico a tutto tondo, ci si riferisce piuttosto ad un’agricoltura sostenibile che a sua volta si traduce in un sistema alimentare sostenibile: un metodo alternativo di produzione (rifiutando l’utilizzo di sostanze chimiche) che preveda poi anche forme diverse di distribuzione (cooperative, mercati contadini, comunità di agricoltura assistita, gruppi collettivi di acquisto) e si concluda infine in una nuova modalità di consumo (attento al gusto e alle altre proprietà organolettiche, al nutrimento, alla stagionalità, al territorio).
Dunque, invece di chiederci QUANDO si è cominciato a parlare di cibo “biologico”, bisognerebbe interrogarsi su PERCHE’ si è cominciato ad etichettare una nicchia di mercato, ovvero il cibo che viene cresciuto secondo natura per distinguerlo dall’offerta generale del mercato.